Vendi minha alma ao diabo e só agora percebo a gravidade do meu insano ato. Isso mesmo, caro amigo. Escrevo-lhe essas nervosas e mal traçadas linhas propositalmente piegas no afã de desabafar e registrar o meu drama. É assim que me sinto: extremamente cafona, ridicurlamente ultrapassado. Deixei-me levar por uma idéia velha e "batida". Nenhuma novidade em pactuar com o "capiroto", sei disso. Mas não resisti. Não que eu seja uma espécie de Dorian Gray moderno que põe a vaidade acima de todas as outras coisas. Não sou tão vaidoso assim. A fealdade para mim é relativa e até aceitável; depende dos olhos de quem a vê. Tampouco o fiz por obter a vida eterna, como fazem todos aqueles que aceitam um acordo com o "canhoto". Não meu amigo, não tenho a intenção de ser eterno… Não temo os chifres pontiagudos do bicho, nem as labaredas assassinas da sua antessala. Seu rabo longo, sua língua bifurcada e seu tridente afiado não me amedrontam tanto. Não é esse o caso. Também não creia que sou um herói que nada teme, um valentão que enfrenta os perigos de peito aberto - Nem tanto ao mar, nem tanto à terra - se é uma coisa que sou é sensato. Sei que contra ele não tenho chance.
Jamais serei como as folhas secas que caem mortas no chão... Voarei por entre os ciprestes e chegarei a um lugar onde talvez ninguém me encontre, não importa. Recuso-me permanecer no ponto de partida; prefiro a solidão à mesmice.
domingo, abril 22, 2012
terça-feira, abril 03, 2012
Palazzo Cambyçara
Questo testo è stato ispirato all’edificio Holiday, situato a Recife, Brasile. Un palazzo di quasi tremila abitanti costruito nel 1957, opera di architettura moderna, di avanguardia. Originalmente fatto per le famiglie benestanti, con il tempo si trasformò in una favela verticale, essendo oggi abitato da persone emarginate, prostitute, piccoli commercianti e anziani. In mezzo al centro del paese, lotta contro la bellezza delle nuove costruzioni, perso in un caos di gente, solitario e abbandonato.
Un monumento alla decadenza, simbolo di un’era ormai dimenticata.
Cambyçara: Nome in lingua Tupi-Guarani che significa donna che allatta, che ama e fornisce l’alimento, dà la vita.
Un monumento alla decadenza, simbolo di un’era ormai dimenticata.
Cambyçara: Nome in lingua Tupi-Guarani che significa donna che allatta, che ama e fornisce l’alimento, dà la vita.
Non so quando ho cominciato a emanare questo strano odore di cosa vecchia. Forse quando il palazzo dove abito ha iniziato a diventare decrepito insieme a me. Ridevo del mio nonno quando diceva che i vecchi puzzavano e dovevano fare il bagno ogni cinque minuti. Soltanto oggi capisco perché si lavava ripetutamente, però faceva un bagno completo solamente nelle domeniche. Il peso della vecchiaia impedisce qualsiasi tentativo di locomozione, principalmente “avventure sott’acqua”; anche di una semplice doccia. Oggi mi riempio di talco e deodorante. Tengo i miei vestiti ragionevolmente puliti, ma non so come eliminare questo odore di roba rinchiusa. Anch’io non riesco a fare il bagno tutti i giorni, la mia artrite me lo impedisce. E così come i miei antenati, appoggio il bastone già consumato nel muro di mattonelle antiche e mi lavo fino a dove le mie forze possono sopportare, sentendomi un po’ più fresco ma esalando quel maledetto odore di cosa dimenticata, ammuffita. Sento il “profumo” del nonno nella mia pelle e mi ricordo di lui come si fosse oggi. Io lì, fermo nella stazione, tenendo stretta la valigia con le mani nervose, lo sguardo perso nella nostalgia che già sentivo della mia terra. Mi passò le mani rugose nei capelli e mi diede un bacio con gli occhi lucidi. Presto io sarei diventato un dottore come lo è stato lui. L’università mi aspettava nella capitale e io avrei dovuto arrangiarmi da solo, ma ero contento; finalmente avrei sentito il gusto della libertà e avrei avuto un appartamento nuovo di zecca e vicino al mare tutto per me.
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